Appunti al telefono (Valeria Vaccari, 2005)

Torso romano, 1991 – olio su tela, cm 50×60

La pittura di Monika Wolf nasce da un dualismo forte ed evidente: da una parte ii desiderio di definire la forma, contenere razionalmente la materia magmatica della sua arte attraverso la geometria rigorosa. Grazie alla costruzione di una architettura fantastica sospesa nel vuoto, Monika ci presenta la stratificazione di memorie e ricordi ancora vivi nella sua mente.

Sono immagini prodotte per libera associazione di idee, inserite in una atmosfera onirica e surreale. I ricordi stratificati vanno a comporre una figura e ogni figura riconoscibile e ricorrente diventa un archetipo, come la casa, il castello, l’albero, la persona. Questo procedimento avvicina il lavoro di Monika Wolf alla pittura rupestre di epoca primitiva, alla pittura degli indiani d’America.

II colore e la materia sono gli strumenti che l’artista utilizza per modulare l’intensita emotiva dei ricordi, il loro peso nella storia personale. Non sono un espediente compositivo, sono la componente irrazionale e inconscia che prendera il sopravvento sul disegno. Gli indiani d’America, cui Monika si ispira, ritengono che ogni cosa animata o inanimata sia abitata da uno spirito. Gli esseri umani sono tenuti a mantenere buoni rapporti con il proprio spirito e onorarlo attraverso rituali.

La religione occidentale ha chiamato lo spirito “anima”, la psicoanalisi lo ha chiamato “inconscio”. Questa forza propulsiva spinge l’artista ad evadere i confini del disegno, a cancellarlo, ricoprirlo, graffiarlo. II colore diventa forma emotiva e vibrante. L’immagine è composta dalla accumulazione di materiali sovrapposti e manipolati. Spesso sotto la superficie è narrata una storia o si nascondono frammenti di figure. Assistiamo al conglobamento nella pittura di elementi naturali, che diventano parte integrante del quadro. Anche questo elemento nasce dall’osservazione dell’arte primitiva, l’inserimento di un frammento crea un sottile legame simbolico con la terra.

La scrittura è un elemento ugualmente ricorrente nell’opera di Monika, scrittura automatica derivante dalla tradizione surrealista che racconta storie conosciute solamente all’artista. Lo sperimentalismo compositivo con ii quale mescola collage, litografia, frammenti di materia, ritagli di giornale, trova la sua origine nel dadaismo berlinese degli anni ’10. A differenza delle opere di quel periodo, strettamente connesse all’epoca storica, le creazioni di Monika sono prive di collocazione temporale permanente. L’utilizzo di materiali di scarto, rende le opere modificabili dal tempo che ne diventa l’artefice ultimo. La sovrapposizione continua dei materiali crea piani prospettici diversi, le figure sembrano muoversi così da un piano all’altro.

Nella produzione recente, ampie campiture di colore nascondono piccoli simboli, ombre di forme e frammenti tridimensionali: la narrazione che all’origine stava in superficie è sepolta dal caos, la razionalità in lotta con l’inconscio crea una tensione emotiva interna al quadro che lo fa muovere oltre la forma e al di la dei simboli costituiti.

Valeria Vaccari, scritto in occasione della mostra “Appunti al telefono”, Galleria Del Barcon, Milano, 2005

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