La favola delle dodici camicie indiane (1996-2005)
La prima opera, in ordine di tempo, dedicata ai vestiti degli indiani è Sioux-Ghost-Shirt, del 1996. Di solito, nei miei quadri ho sempre evitato il tema figurativo, perché desidero esprimere sul supporto – tela, carta, materiale di recupero – impulsi spirituali attraverso segni inventati o attraverso il ritmo spontaneo di macchie colorate e linee. Infatti il quadro informale rappresenta maggiormente le mie intenzioni pittoriche, in quanto espressione istintuale ed immediata; l’elemento scrittura è sempre presente, come espressione di energia, anche se nei miei quadri è spesso indecifrabile ed enigmatica pur assumendo il carattere di una forma di comunicazione.
Nella scelta di un motivo figurativo quale l’abito, ha contato un evento cruciale della mia vita: la morte di mia madre. La morte di una persona cara suscita sempre forti emozioni. Ma questo tragico evento, che porta a un confronto intenso con se stessi e con il passato, può anche essere l’inizio di una fertile “materializzazione” di quello stato d’animo.
Perché vestito dell’Indiano? Fin dal mio viaggio nel Nord America e in Messico nel 1972, sono in sintonia con la loro tragica storia e la loro filosofia di vita in simbiosi con la natura e i suoi fenomeni. Sono affascinata dalla loro capacità infantil-creativa, secondo me geniale, che si esprime negli oggetti di uso comune o rituale, visibile in particolare nei vestiti, specialmente in quelli aventi funzione rituale e usati come medium. Quando li ho visti per la prima volta a New York nel Museum of the American Indians sono stata letteralmente sconvolta dalla loro bellezza e potenza comunicativa, dal loro contenuto simbolico, e dalla varietà e inventiva nella scelta dei materiali, soprattutto quelli naturali, veri e propri relitti della natura.
Ricordo il Filzanzug = l’abito di feltro di Joseph Beuys. La scelta del materiale feltro in chiave simbolica ha origine autobiografiche e fa riferimento a una esperienza profonda nella vita dell’artista; i materiali da lui preferiti erano quelli che comunicano energia come pure il calore trasmesso attraverso il feltro. L’abito di feltro era un abito che non aveva funzioni pratiche e quotidiane, essendo piuttosto – come ebbe a dire lo stesso Beuys – un abito simbolico, un’“immagine”, un’“opera d’arte”. Aggiunse quindi che il vestito di feltro è la casa più vicina dell’uomo, una grotta che lo avviluppa e che lo isola.
Il calore che dà e che conserva non è un calore normale: è “diverso”, ha natura spirituale e allo stesso tempo primitiva, essenziale.
Per l’esecuzione dei quadri, ho attinto alle immagini dei libri che posseggo sugli Indiani d’America. Nella fase preliminare, di studio, copio su carta trasparente l’oggetto prescelto nella sua forma e accanto e attorno scrivo i dettagli che lo descrivono, origine, dimensione, tipo di materiale ecc. Questo momento preparatorio è per me molto stimolante. Non voglio effettuare un disegno “artistico-creativo”, questo procedimento è il contrario dell’atto spontaneo ed energico compiuto dipingendo un quadro informale. Tuttavia questo esercizio, per quanto divertente, mi prepara alla concentrazione e alla elaborazione della mia opera creativa.
Nel dipinto – che naturalmente non deve risultare una copia esatta dello studio – l’abito ritratto resta protagonista; ma l’interpretazione nell’opera ultimata si traduce anche nell’utilizzo di materiali recuperati, allo scopo di aggiungere alla tela una certa plasticità. La materia è un importante elemento della mia ricerca espressiva (materia=simbolo=contenuto). Infine, la favola. Marie-Louise von Franz (allieva di C.G.Jung) dice: “La favola va al di là delle differenze culturali e razziali. Il linguaggio della favola sembra essere il linguaggio internazionale di tutta l’umanità, di tutte le razze e le civiltà”.
Per quanto riguarda la favola delle 12 camicie indiane, dovrebbe per prima cosa legare le singole opere fra di loro e poi incarnare l’ idea della favola come fenomeno archetipico che unisce popoli e culture di tutti i tempi. In sintesi la favola delle dodici camicie indiane è il pretesto per raccontare l’aspirazione di ogni uomo a perseguire un ideale di vita felice e in armonia con la natura. In una condizione ideale di lettura, il testo andrebbe scritto al contrario, e letto riflesso in uno specchio, secondo il principio “scrittura indecifrabile”, regola dei miei quadri.